Leggerete più avanti, al termine di questo (notevolissimo) articolo, con quali considerazioni la sfitinzia Elisa Cuter chiude la propria riflessione a proposito di un argot emerso in Italia alla metà degli anni Ottanta. Parlo della neolingua divulgata nel giornalino Il paninaro e nel suo omologo per ragazze Preppy. Non so fino a che punto la neolingua paninara sia un prodotto del laboratorio editoriale milanese, la pensata di un gruppetto di redattori guidati dallo scrittore, editore e playboy Renzo Barbieri (autore dei romanzi Miliardi, Top model e L’uomo della Rolls) o sia in realtà qualcosa nato per strada, sopra le selle dei motorini parcheggiati di fronte a Burghy. Dizionario del paninaro alla mano, questo idioma pazzo, futurista e combinatorio, sembra nascere dall’incontro fra la vecchia lingua dei cumènda lombardi, il business english e il lessico dell’informatica anni Ottanta («vaffanbyte»), il che rivela un riflesso gaddiano nella spinta verso la parola tecnico-scientifica, il tutto decorato dalla ciliegina di un classismo sfrontato. Senza mai prendersi sul serio, bisogna dire. Personalmente trovo questa lingua una splendida invenzione letteraria. Alessandro Gori nel suo ultimo libro ne offre un calco semplicemente meraviglioso. Se ascoltate un’intervista a Miss Keta, a Gue Pequeno o se v’imbattete nelle idiote story Instagram di un medio creativo milanese, vi accorgerete di quanto Il paninaro e la sua lingua abbiano seminato. Facciamoci un seminario.
– Ivan Carozzi
Take off / all your preppy clothes
di Elisa Cuter
Il mio primo lavoro, se escludiamo il babysitting sporadico durante l’adolescenza, sono state le 150 ore in Università a Torino presso l’Atlante Linguistico Italiano. Il primissimo giorno di lavoro ero in hangover perché la sera prima ero stata a un concerto dei Gogol Bordello. Era uno di quei più che sopportabili hangover dei vent’anni, eppure ricordo distintamente il senso di colpa, le vertigini salendo sulle scalette a rotelle della libreria e soprattutto il sollievo enorme che provai quando mi risultò chiaro che quel seminterrato era praticamente deserto e che nessuno sarebbe venuto a chiedermi niente, nonostante fossi stata assunta principalmente come front desk e servizio al pubblico. Nei successivi mesi preparai vari esami seduta a quel banchetto, ma ci furono anche alcuni sparuti avventori che mi chiesero testi in consultazione. Li annotai tutti su un’agenda che deve essere finita in qualche scatola nella cantina dei miei genitori, ma un paio di titoli mi sono rimasti impressi dopo averli recitati innumerevoli volte come aneddoto spassoso da raccontare alle feste. “Una variazione regionale nella terminologia della pipa” e soprattutto “Pignatta (nota etimologica)”. Avrei scoperto più avanti che la mia produzione scritta sarebbe stata anche più iperspecialistica e sostanzialmente inutile di quei due da me tanto vituperati titoli (questo stesso scritto lo dimostra), ma all’epoca li confrontavo con i tomoni di Hegel su cui studiavo, che spaziavano fino allo spirito assoluto. Quella meticolosità, la specificità del tema invece mi sembravano completamente autistici, roba da nerd. In tre anni di filosofia non ricordo di aver dato neanche un esame di linguistica. Potrei sbagliare ma il punto rimane, perché non ne ho ricordo: tuttora quando mi capita di leggere de Saussure o altri strutturalisti il mio cervello si rifiuta di assimilarli, non collabora, come quando devo fare calcoli a mente. Tuttavia non sono immune al fascino, per quanto molto esotico per me, di considerare le parole in quanto “oggetti” più che come atti performativi. Il fascino del significante piuttosto che del significato. Ho letto un po’ di poesia durante l’adolescenza, ma non è a quella che penso quando considero in modo astratto le parole, quando le rigiro in testa fino a farne puro suono spogliato del significato. Io penso a PIGNATTA.
Ed è con questo spirito che vorrei saper parlare di un altro volumetto di cui sono orgogliosa detentrice, pubblicato 28 anni dopo Le donne e gli amori di Giuseppe Stalin, sul quale vi ho edotti in una precedente Gua Sha. È del 1986 e si tratta del primo numero di un giornalino per adolescenti, Preppy, versione femminile de Il paninaro.
Le sottoculture giovanili mi interessano molto da sempre (ricordo un raccontino che scrissi alle medie su una guerra tra B-boys e gabber). Del resto, ero giovane anche io, l’aspetto identificativo era preponderante. Poi è arrivato, inevitabile, l’interesse sociologico. Mi è venuto un po’ a noia anche quello ultimamente. È quasi un peccato, perché questa perla offre vari spunti per parlare del riflusso degli anni Ottanta, è un documento prezioso per osservare un sacco di cose. In primis lo smaccato e orgoglioso consumismo che ostenta la sottocultura paninara, evidente oltre che nelle interminabili pagine di pubblicità anche nella pagina della posta: “Ciao, sono una panozzina di (ahimé, mi duole il cuore a dirlo) provincia. Purtroppo qui di paninari veri e propri ce ne sono pochi, gli altri sono tutti grezzoni, che comprano l’abbigliamento al mercato (Bleah)”. (Caritatevole, la redazione risponde: “Non ti preoccupare, anche in provincia si può essere dei veri giusti, e la tua compagnia con le sue regole anti-gino lo dimostra in pieno!”). O ancora negli articoli che oggi chiameremmo di branded content dedicato al negozio Dodo a Milano – elemento che tra l’altro ci dà anche spunti per parlare di gentrificazione ante litteram: “In un angolo della Vecchia Milano, al numero 55 di quel Corso Garibaldi lungo cui convivono armoniosamente case occupate, negozietti dell’usato e boutiques di grido, si aprono le due vetrine ad arcata di Dodo, un negozio famoso tra le ragazze in cerca di accessori freschi e spiritosi”.
Si potrebbe altrimenti analizzare il pantheon dell’immaginario assemblato già solo nelle copertine che annunciano i temi dei vari numeri: “Anni ‘60”, “James Dean”, “Londra”, “Ibiza”.
Oppure usarlo per documentare la diffusione del fenomeno dei paninari in Italia, chiaramente radicato al nord: le T-shirt estate ‘86 “I nuovi Galli” sono vendute, si legge, a Milano, Torino, Roma, Monza, Isola d’Elba, Modena, Bologna, Parma, Genova, Reggio Emilia e Firenze. Le due storie a fumetti contenute sono ambientate a Bologna e Torino, le lettere arrivano da Rovereto, ovviamente Milano, al massimo dalla Toscana (“Purtroppo, sia Pisa che Viareggio sono piene di china, truzzi e tamarri, che invadono strade e ogni luogo con il loro look, i loro linguaggi troppo scarsi, ma soprattutto...(suspense!) con i loro orribili mezzi di trasporto (pessimi!)”. Di nuovo la risposta conciliante della redazione: “Quanto alle orde barbariche che invadono le nostre città, bisogna rassegnarsi: non tutti possono essere dei veri giusti, no?”. E i suoi tentativi di espandere il credo almeno verso il centro Italia: “Ehi, perché tanto dente avvelenato contro i romani? Certo, i paninari sono nati a Milano, ma anche nelle pampas di Piazza di Spagna ci sono galli che razzolano niente male e preppies da vero sballo. Provare per credere, diceva il ginone Aiazzone in TV: siamo sicuri che se conosceste un paio di manici romani vi ricredereste…”. Tentativi che si scontrano però con il razzismo antimeridionale che si vede nelle storie: i poliziotti che tentano goffamente di salvare un ragazzo caduto nel Po parlano così:
E vengono apostrofati come segue:
E quando due personaggi cadono da una panca una dei due illustra la scena così: “...e terroniamo giù intomellati di brutto”. (enfasi mia)
Oppure, in continuità con questa improvvisata analisi diciamo “geopolitica” si potrebbe intavolare, grazie al confronto con un altro aureo libretto in mio possesso, The Official Preppy Handbook (1980) di tal Lisa Birnbach, un discorso sul rapporto con gli Stati Uniti, da cui il fenomeno sostiene di provenire, e che però viene tradotto in salsa nazionalpopolare perdendone quasi in toto i connotati. Aggiungendo, en passant, che mentre l’autoironia ostentata dal manualetto americano gronda spocchia, l’entusiasmo e l’orgoglio dei paninari italiani tradisce un’ingenuità che fa stringere il cuore: “Sono una sfitinza di 13 anni che abita a Ronco sul Lago Maggiore, in provincia di Varese. Il mio paese è piccolo, pieno soltanto di ciaina e truzzoloni della miseria! (…) Devo proprio dire che i paninari sono una razza bellissima, neanche da mettere con i dark, i punk, i metallari, i ciaina e i cinesi, tutti tamarri proprio scarsi!”.
Infine, si potrebbe aprire un altro interminabile capitolo sulla questione dell’educazione di genere e sessuale che porta avanti più o meno consciamente il giornalino. Rivolto a un pubblico molto giovane (come dimostrano le foto delle modelle in fase prepuberale del servizio di moda), nella rubrica di gossip “Preppy News by Davide Rossi” si trova un esempio tipico della condotta schizofrenica richiesta alle giovani donne. “Gine, truzze et similia: FIORDALISO: sbandiera ai 4 venti di essere una ragazza madre, dimostra soltanto di essere stata molto gina, in più abbiamo saputo che è uscita molte volte a cena con Joe Denti. CARMEN RUSSO: povero Enzo Paolo Turchi, si cuzza una bomba supersexy e, poco dopo, si ritrova una madre di famiglia tutta casa e bebé, non si fa così”. Nella prima storia a fumetti contenuta nel volume, la protagonista sedicenne Cilla viene “sedotta” (o piuttosto molestata) dal proverbiale zio d’America, fratello del padre e sposato, salvo realizzare grazie agli amici coetanei che lui è un porco qualunque nonostante “l’attrezzatura” (“Patton original texano, Rifle, Vans, Rayban… uno sballo!”).
Nella seconda, la coetanea Clizia è contesa tra due ragazzi che si battono per lei e fanno amicizia quando uno salva l’altro dopo il fallimento dei carabinieri di cui sopra, giungendo alla conclusione di non dover scegliere ma di poterli tenere entrambi.
Il concorso “L’ARRAPATION DEL MESE” la dice lunghissima: “Dal numero 9 Il Paninaro pubblicherà la foto dell’arrapation del mese, ovvero la galla più gallosa, ovvero la super sfitinzia, ovvero la preppy più iperware! L’arrapation del mese, eletta a INSINDACABILE giudizio della redazione, verrà scelta tra tutte le foto che perverranno in via F. Redi, 22 – Milano. Quindi coraggio, fiocchette, panozze, gallose di tutt’Italia, mandateci le vostre foto migliori, per fare uscire di cotenna quei Galli di Dio che sono i lettori del Paninaro, o anche solo per far schiattare d’invidia l’amica che se la tira troppo, ma che non è una vera giusta! E voi manici, che avete fiocinato la più giusta della compagnia e ne andate fieri, fateci vedere che pezzo state battendo! Nello scegliere l’arrapation del mese terremo conto non soltanto delle doti fisiche delle candidate, ma anche del loro look, accessori e bronzo compresi. Chi sarà la gallosissima arrapation del mese di settembre?”. Senza contare il vademecum “andar cuccando”:
per cuccare alla volpina basta seguire un decalogo, in tutto dieci comandamenti arrapation della fiocinatrice.
1) Indossa sempre l’attrezzatura giusta. Fai vedere che sai distinguere l’abbigliamento regular dalle tamarrate.
2) Abbi cura di te stessa come delle tue Timberland. Vai spesso dall’estetista e se ti fai il bronzo mantienilo costante per tutta la stagione.
3) Non essere mai allupata per qualcuno. Se anche ti capita di esserlo, non devi darlo a vedere.
4) Non fare la luisa. I galli di Dio non perdono tempo con le scassacazzi.
5) Se 'lui' ti chiede di bigiare, sii ferma e rifiuta, salvo poi incontrarlo 'per caso' al bar cattivello che frequenta con la sua compagnia.
6) Quando punti qualcuno, concentra tutti i tuoi sforzi sulla buona riuscita dell'operazione. Questo naturalmente non vuol dire fare vinavil tutto il tempo.
(…)
8) Fai credere al tuo gallo che per te sono molto più importanti i paninari di qualunque altra cosa. Anche 'lui' ti piace solo perché è paninaro.
9) Due cose da evitare ad ogni costo: la droga e le parolacce. La prima perché i tossici e i flippati sono out, le seconde perché non sono affatto adatte alle fiocchettine. Se proprio deve scappar qualcosa, meglio un insultazzo.
(...)
(A quest’ultimo proposito, aggiungo un piccolo elenco di eufemisimi per le bestemmie rintracciati nelle storie a fumetti: vaffanclero, dio gatto, dio ram, dito cane).
Di tutti questi temi probabilmente saprei parlare. Non so parlare invece di quello che mi affascina di più: il linguaggio, che già avete assaggiato attraverso questi esempi, questo Nadsat burgessiano che usa l’inglese invece del russo (scopro tra l’altro che “Lo stesso termine Nadsat (da Nadtsat’), che qui significa adolescente, è un suffisso -надцать finale dei numeri russi da 11 a 19. Ciò richiama l'uso del suffisso inglese -teen per il termine ‘Teenager’”). Non so fare analisi linguistiche, so solo ammirare il suono delle parole e fare ricerche su Google. Scopro allora che la rivista, che durerà 31 numeri, è pubblicata da Edifumetto Srl, direzione editoriale di Renzo Barbieri. Da Wikipedia: “(Milano, 3 ottobre 1930 – Milano, 23 settembre 2007) è stato uno scrittore, sceneggiatore e editore italiano, oltre che famoso autore di fumetti erotici”, tra cui Lando e Jacula.
Allo slang giovanile che Barbieri utilizzava nei suoi scritti degli anni Cinquanta è dedicato un saggio del 2006 di Gianluca Lauta, I ragazzi di via Monte Napoleone, di cui riporto la quarta di copertina:
‘Mi spiace una cisterna, Fuccia, ma la curva (madre) non mi lascia in fuga’. Quando ha avuto inizio il linguaggio giovanile in Italia? Il ritrovamento di alcuni resoconti giovanili di Renzo Barbieri, usciti negli anni Cinquanta da piccolissimi editori, porta alla luce un linguaggio di cui qualche studioso sospettava l'esistenza, ma che, fino a oggi, non era stato possibile documentare. Quello che si presenta al lettore è un glossario, che vuole essere nello stesso tempo una raccolta, di piacevole lettura, di espressioni giovanili dell'epoca. Il linguaggio giovanile degli anni Cinquanta non riguarda ancora tutti i ragazzi italiani; è parlato soprattutto dai Montenapy, cioè da quei giovani ricchi milanesi che frequentavano all'epoca via Monte Napoleone, piazza San Babila, il bar Cova. Lo slang dei Montenapy, cui alcuni linguisti, già negli anni Cinquanta, accennano come a un linguaggio degradato, è stato invece registrato con pazienza da Barbieri e oggi rappresenta la prima testimonianza di linguaggio giovanile in Italia; un linguaggio che, peraltro, fatti i dovuti rapporti storici, appare straordinariamente somigliante a quello dei giovani d'oggi e che sposta alla metà del secolo molte parole ed espressioni che si credevano nate negli ultimi vent'anni.
Gli anni Ottanta si legano ai Cinquanta, come abbiamo sempre saputo. Da quando siamo un feudo americano/da quando c’è internet/da quando esiste la società dello spettacolo/da quando sto invecchiando niente sembra cambiare. Niente mi interessa più, il suono delle parole mi attrae e mi distrae, mi fa passare il tempo, che sembra immobile per sempre.