Nel pezzo che segue, Sara vi racconterà una storia che ha a che fare con Luis Barragán, il più celebrato architetto messicano del secolo scorso. In particolare, vi parlerà del lavoro che un’artista ha realizzato intorno a Luis Barragán. C’è di mezzo un diamante. Lascio a Sara il compito di informarvi sul conto di questo lavoro. Per quel che mi riguarda, anticipo una mia impressione. Mi sembra una grande sceneggiata. Magari mi sbaglio. Sono pieno di pregiudizi. Le case costruite da Luis Barragán, invece, al contrario della mia mente, sono calme, silenziose, giuste, oggettive, in pace. Inoltre, a differenza dell’architettura razionalista, dal quale Barragán è stato influenzato, in queste case troviamo pareti verniciate da colori nitidi e stupendi, come il pesca, il viola ciclamino, l’azzurro acquamarina. Ricordano i colori della natura osservati a primavera, quando i pigmenti di piante e fiori sono così accesi da riempire la retina fino all’orlo. Questa è la prima settimana di aprile 2022. Fanculo alla guerra.
Nina Simone, “July Tree”:
True love seed in the autumn ground
True love seed in the autumn ground
When will it be found?
True love deep in the winter white snow
True love deep in the winter white snow
How long will it take to grow?
You know true love buds in the April air [...]
– Ivan Carozzi
Disseppellire! (il corpo dell’artista come feticcio)
di Sara Marzullo
Lo scorso giugno ho visto uno dei film in concorso all’ArchFilmFest, il festival di film di architettura di Londra organizzato da Manuel Toledo (ciao Manuel!), The Proposal di Jill Magid. Qualcuno mi aveva detto, sai che l’archivio di Luis Barragán è stato il regalo di nozze del proprietario di Vitra per sua moglie?
Non mi aveva detto, però, se era stata lei, Federica Zanco, a chiederlo al marito o se si trattava di un pensierino per la futura moglie. Ma forse poco importa di fronte al fatto che una coppia milionaria ha il potere di prendere l’archivio del più importante architetto messicano del ventesimo secolo e usarlo come simbolo di amore eterno e poi nasconderlo in un bunker in Svizzera, inaccessibile al mondo. Seppellito nelle viscere della terra. Una tomba.
È possibile comprare l’archivio di un artista e poi renderlo inaccessibile, non c’è qualche legge che vieta una cosa del genere? Pronto UNESCO? Chiaramente, il sito della fondazione giura che le cose non stanno così:
Istituita nel 1996, la Fondazione Barragán è un'istituzione senza scopo di lucro con sede a Birsfelden, Svizzera. Il suo obiettivo principale è la conservazione, lo studio e la gestione dell'Archivio Barragán e della collezione di fotografie correlate di Armando Salas Portugal.
L’obiettivo è la conservazione, lo studio, siamo un’istituzione senza scopo di lucro – ma non si parla di condivisione, e nemmeno di promozione, ma dice Svizzera (c’entra?). Così quando si va alla sezione degli archivi si scopre che:
Molti dei documenti dell'Archivio Barragán sono estremamente fragili, il che rende necessario limitare l'accesso fisico. Il patrimonio archivistico è in fase di digitalizzazione, con l'obiettivo di creare una banca dati fruibile e preservare i materiali originali per le generazioni future... In circostanze eccezionali, può essere concesso l'accesso fisico ai documenti originali a studiosi che conducono ricerche specializzate, previa presentazione di una richiesta scritta che specifichi il loro campo di studio e gli argomenti specifici di interesse.
Quanto fragili possono essere gli schizzi, le foto, gli scritti di un architetto dello scorso secolo, morto appena 34 anni fa? Quando era diventato evidente che c’era un problema di copyright (che parola sanificata, pulita, copyright…) rispetto a Barragán, per cui sia i musei che i ricercatori avevano iniziato ad avere difficoltà, Jill Magid aveva colto l’occasione di una collaborazione con Art Basel per provare a ottenere l’accesso all’archivio in Svizzera, proprio grazie alla forza di Art Basel: “Volevo realizzare il lavoro sulla base di ciò che avrei trovato lì”, dice in un’intervista. Federica Zanco le aveva negato la richiesta. Circostanze non eccezionali, a quanto pare.
Così il film gira intorno a questo vuoto, a questo buco – o forse fossa: Jill Magid tenta di riportare alla luce il lavoro di Barragán, di disseppellirlo, chiedendo alla signora Vitra e all’azienda, ‘a private corporation’ , di restituire l’archivio, renderlo pubblico, attraverso una contro-proposta. The Proposal è un film che è anche una performance – una perfomance che si comprende meglio se si spiega che Jill Magid è un’artista visiva e una scrittrice che, cito dal suo sito, “usa il suo lavoro per creare nuove prospettive nei confronti di strutture di potere ben radicate nella società”.
Il punto di The Proposal non è dire per favore signora ci ridà l’archivio? Per favore, per favore. Come recita il mantra, la questione è più complessa di così, e infatti il film si interroga sulla possibilità che un singolo attore possa detenere il controllo esclusivo sulle opere di un artista; in particolare, controllare l’accesso al lavoro di Barragán e le implicazioni etiche che ne conseguono.
“Durante gli ultimi diciotto anni, sono stata addestrata come spia, poliziotta, reporter di guerra”. scrive Magid. “Ottenere l’accesso a sistemi di potere richiede ricerca, fiducia, una serie di metodi non ortodossi e una negoziazione costante. Dall’interno, instauro un dialogo personale con questi sistemi. Da qui posso sollevare osservazioni e dubbi su come viviamo in relazione a questi”.
Così per The Proposal, Magid vola in Messico a disseppellire le ceneri dell’architetto e trasformarle in un diamante, da montare su un anello – con il benestare della famiglia Barragán, s’intende. Con questo anello, composto dal corpo reale dell’architetto, va al cospetto di Federica Zanco – qui nel ruolo di compagna di Rolf Fehlbaum di Vitra, super villain dell’archivio, ma anche giornalista ed esperta in design – per farle la proposta, un’altra proposta dopo quella di matrimonio: sostituire con un corpo sepolto l’archivio sepolto, il corpo umano al corpo artistico, equipararli, l’inaccessibilità e l’irreplicabilità di uno con l’altro, esclusività per esclusività.
Intrecciata a queste pressanti questioni sociali c’è anche una più pacata riflessione sulla mortalità e la relazione tra il corpo dell’artista e corpo artistico. La mortalità le permea, con l’invecchiare dell'architettura e la presenza intima delle tre generazioni della famiglia Barragán. Volevo mostrare l'eredità come qualcosa di potenzialmente vivo e pieno di possibilità. Trasformare le ceneri in un diamante è un'espressione di possibilità.
Nel precedente numero di Gua Sha, mi chiedevo a chi appartenesse il corpo dell’artista – se l’artista potesse riscattarlo dalle pressioni economiche, dallo sfruttamento imposto, dai compromessi per fare l’arte. Lì c’erano artiste che si facevano pagare per realizzare opere che erano performance, che a loro volta erano sex work o forse happening, che mettevano un prezzo sul tempo, per ultra ricchi e di rapporto estrattivo. Qui la questione è la stessa: cosa può comprare la ricchezza? A chi appartiene il corpo dell’artista? Qual è il feticismo per cui si può possedere il corpo, artistico o reale, di qualcuno? Come rende la sua opera più nostra? Come sottrarlo al mondo ci rende proprietari delle sue idee?
La villain Federica, che per tutto il film viene chiamata solo per nome, rappresenta l’emblema della ultra-ricchezza guidata dai propri desideri, arrendevole ai capricci, che compra, vende, nasconde, a proprio piacimento. Non la vediamo quasi. Ma chi è Jill? Cosa c’entra qui? Perché vediamo solo lei? Che spazio occupa la sua figura?
È lei stessa a chiederselo:
Come protagonista del film, sono consapevole che mi sto inserendo in una storia che non mi ha coinvolto in precedenza, e che la mia presenza potrebbe influenzare il suo futuro, o la narrazione del suo passato. Credo che sia cruciale discutere il modo in cui l'eredità artistica viene costruita, modellata e manipolata. Permettere al pubblico di confrontarsi con un'opera d'arte in vari modi e da molteplici prospettive significa minacciare la sua integrità o renderla più parte integrante della società nel corso del tempo?
Magid ha il diritto o no di affrontare Zanco? Di girare un film – il suo film, non la biografia ufficiale – di Barragán per ristabilire l’ordine delle cose? Il corpo è ancora l’oggetto del contendere, ma forse non può essere altrimenti.
Due donne, una di fronte all’altra: come in ogni bipartizione siamo portati a vedere il bene e il male, il polo negativo e quello positivo; una delle due deve avere ragione, l’altra torto. Per me, perché questa storia l’ho scoperta raccontata dalla voce di Magid, chiaramente il film si pone come percorso dell’eroe, che deve coronarsi con la sconfitta del villain – E INVECE CLIFFHANGER! (Zanco le ha detto che era ben difficile accettare una proposta quando si trovava seduta accanto al marito).
Il punto espresso dai due commentatori è semplicistico – perché Zanco non sarà una trophy wife e l’archivio non sarà un pensierino del marito, ma dire che Magid vuole salvare l’archivio perché crede che i messicani non ce la facciano da soli non mi pare proprio andare al cuore della questione… Certo, mi hanno fatto vedere come volessi separazioni, scelte, giusto e sbagliato, emancipazione, sconfitta e vittoria.
Magid dice che Zanco cura il corpo delle opere di Barragán quasi con erotismo, come ci si occupa del corpo dell’amato o di un amore filiale. Il suo Barragán. Così prezioso da non poter essere condiviso… Il punto però è che l’accesso detenuto in maniera esclusiva da una fondazione privata è… il contrario di quello che ci dovremmo aspettare dalla conservazione dell’opera artistica. La Fondazione Barragán può, con la scusa di “proteggere” l’opera, farla sparire, sottrarla al nostro sguardo. Un ente sovranazionale che decide sul destino e l’accesso a una risorsa: a chi risponde? Eppure ci sarà sicuramente qualcuno a cui deve farlo. Non so. Forse è tutto qui, c’è un giusto e uno sbagliato.
Quando ho letto quello che ha scritto Ivan, non ho saputo più come chiudere il pezzo: queste distanze siderali che io non sento, le storie delle fondazioni che forse sono elucubrazioni che non hanno relazione con il presente. Di solito odio le opere che parlano di qualcosa e Magid sembra volerlo fare: i sistemi di sorveglianza, possiamo farci arte? Eppure mi aveva colpito quest’altra opera del 2020. Magari tra due mesi la odierò. Magari niente di questo sopravviverà, solo pensieri che intasano il web.
Durante la pandemia ha realizzato Tender, 120,000 penny su cui ha inciso la frase “THE BODY WAS ALREADY SO FRAGILE”. Le monetine sono state fatte circolare negli Stati Uniti a partire dai cinque distretti di New York. La loro diffusione riecheggia quella della malattia, del COVID-19.
“Il messaggio rievoca sia il corpo umano che il corpo politico – e sottolinea la loro interconnessione durante la pandemia da coronavirus. L’incisione si inserisce tra l’iconografia ufficiale delle monete: le teste mostrano il busto del presidente Abraham Lincoln; le croci rappresentano l’impegno da parte di Lincoln per salvaguardare degli Stati Uniti. Il numero di penny del progetto Tender è 1.200 dollari, la stessa cifra dello stimulus check, l'assegno che è stato emesso dal Tesoro come parte del CARES Act ai cittadini degli Stati Uniti”.