Il meteo online è sottoposto alle stesse regole di SEO di tutto ciò che sta su internet, solo che le applica in maniera bizzarra ed estrema: ARRIVA LUCIFERO, ADESSO CAMBIA TUTTO. STOP ESTATE? È METEO ESTREMO. INVERNO CHOC, MAI STATO COSÌ DA 120 ANNI. INVERNO 2022. ADESSO è UFFICIALE. Le ragioni del meteo-clickbait stanno nel sopracitato modello di indicizzazione, nella raccolta di dati e introiti pubblicitari, ma sembrano anche condividere una certa profonda angoscia che ci (o perlomeno mi) abita, legata alla crisi climatica e alle sue sempre più visibili conseguenze. Nel suo pezzo di oggi, Elisa scrive che la crisi climatica ce la viviamo “così, come una spada di Damocle in testa”, e che fino a un certo punto lei si era “aggrappata a una speranza: la convinzione che il cambiamento climatico ‘sfugga alla nostra percezione’”, ma che forse quel momento è ormai passato. Lo dice a proposito di Eddy e la banda del sole, un oscuro cartone animato del 1991, che visto oggi sembra paradossalmente avant-garde (la sua pregevole analisi dei quadri del sindacato in Commesse si trova qui).
Oggi a Torino dovrebbe nevicare, ma mi sembra più una coincidenza che una questione naturale, come se il freddo invernale in una città alpina fosse una specie di inedito fenomeno di cui godere con l’entusiasmo dell’esotico; se ilmeteo.it mi avesse preannunciato PRIMAVERA IN ANTICIPO MAI VISTA UNA COSA DEL GENERE e diciassette gradi, non mi sarei poi tanto stranita.
Una delle mie tante polemiche preferite è che l’analisi della questione climatica è un boys-only club, tutta apocalisse e accelerazionismo, dati alla mano e rappresentazione geografica di quante città perderemo sott’acqua. L’assolutezza della disperazione circa la crisi assorbe qualunque altro gemito culturale, finendo per schiacciare qualsiasi altra questione e critica culturale o sociale, perché comunque moriremo tutti, ma ve l’ho detto prima io, quindi ascoltatemi. Tuttavia, quasi nessuna di queste riviste, siti, libri di divulgazione sembra essersi presa il compito di dire che cosa questo (questo indicibile questo che è la crisi ambientale) significhi a livello inconscio e simbolico, cosa voglia dire nei termini di risignificazione della nostra presenza sul pianeta, che tipo di doppia coscienza si mette in gioco se si ha un figlio mentre il mondo va in vacca. Tutti i loro imperativi e moniti in forma di infografica, che nella pratica si limitano a dire che dobbiamo vivere più eticamente possibile, ma senza addentrarsi troppo a spiegare come spazio e cultura formino la suddetta etica, dicevo, tutti quei ditini alzati a me dicono meno di ADESSO TUTTO CAMBIA. AUTUNNO CHOC, perché è in questo caps lock dell’ansia che mi barcameno.
– Sara Marzullo
Il sole sorge lo stesso
di Elisa Cuter
“Guardate: il sole sorge lo stesso!”. Io e mia sorella abbiamo ripetuto questa frase di Eddy e la banda del sole luminoso, semisconosciuto film d’animazione di Don Bluth del 1991, fino allo sfinimento, perché era pronunciata con tono tanto cantilenante da risultare demenziale. Era la battuta di una comparsa, un’anatra, durante il linciaggio del gallo Chanticleer, fino a poco prima idolo della fattoria nel sud degli Stati Uniti dove inizia la storia, narrata da un cane, Patou:
Molto tempo fa, assai prima che imparassi ad allacciarmi le scarpe, il sole sorgeva ogni giorno. So perfettamente anch’io che il sole sorge ogni giorno e che il fatto non è per niente eccezionale, ma immaginate solo per un attimo che una bella mattina uno si svegli, dia un’occhiata intorno, vede che ancora buio e torni a dormire. Vi sembra possibile? A noi sì, perché c’è successo, ma lasciate che ve lo racconti.
La produzione del film è stata travagliata, nessuno sembrava capire cosa accadesse e quindi il voice over del cane è stato aggiunto dopo le proiezioni di prova per dare un po’ di senso.
Ho scoperto che la trama è basata su una pièce di Rostand (sulla quale anche la Disney, per la quale com’è noto lavorava Bluth, voleva basare un classico nel 1960) di cui su Wikipedia esiste una pagina solo in tre lingue: francese, inglese e… lumbard. Riporto quanto presente:
Chantecler l'è ü laùr teatràl in quàter acc scricc dal Edmond Rostand in del 1904 e portada in scéna al Théâtre de la Porte Saint-Martin in del 1910 da i atùr Lucien Guitry, Jean Coquelin, Félix Galipaux e Madame Simone. In de la Chantecler ol Rostand 'l cónta sö la éta de töcc i dè di animài de ü curtìl e ghe n'è ü, 'l gal, che l'è suernominàt Chantecler, che l' gh'à ü segrèt ispaentùs: se l' canta l' fà ègn sö 'l sul. La Chantecler la gh'è mia üt fortüna, a la zèt l'è mia piasìt.
Stessa sorte tocca al film di Bluth (fun fact: da piccola pensavo, tratta in inganno da quel “don”, che fosse un prete e mi chiedevo come mai questo sacerdote avesse un immaginario così dark), che come capita spesso mette un po’ troppa carne al fuoco, usando tutta la cornice rurale come prologo per fornire in realtà un affresco dello showbusiness negli anni Cinquanta, tra impresari vecchi volponi, fagiane dell’avanspettacolo dal cuore d’oro e star depresse, come Chanticleer, che diventa “The King” ma continua a vagheggiare il suo passato di cantore di provincia alla fattoria. Sempre Patou racconta il momento in cui è stato cacciato:
Un mattino, prima che Chanticleer si svegliasse, arrivò uno straniero per impedire a Chanticleer di cantare. Chanticleer non poteva lasciarsi insultare senza combattere, ma quello che non sapeva era che lo straniero era stato inviato dal Gran Gufo dei Gufi - un tipaccio. Il bello era che Chanticleer aveva vinto, ma il brutto era che l’inviato del Gran Gufo aveva raggiunto il suo scopo perché nella confusione Chanticleer si era dimenticato di cantare e il sole stava sorgendo lo stesso. Quando Chanticleer lo vide gli si spezzò il cuore: pensò che il suo canto non aveva mai fatto sorgere il sole.
Qui comincia il linciaggio: e ovviamente troviamo l’anatra attonita: “Guardate: il sole sorge lo stesso!!!!”, seguita da cori di stupore e delusione, conigli che prima facevano da coristi sono indignati: “Che imbroglione, ci ha preso in giro!”, una gazza imita il gallo ottenendo risate e plauso della folla. “Il piano del Gran Gufo aveva funzionato: ci aveva messo contro al nostro migliore amico, e senza una ragione per cantare Chanticleer lasciò la fattoria per andare a cercare lavoro in città. Dopodiché venne la pioggia”.
Pioggia incessante a cui segue un’inondazione, rappresentata sia in live action che nella parte animata in modo così esagerato ma verosimile che quando penso al post-Katrina penso più a quelle scene che a quelle che abbiamo visto e rivisto in televisione. Non è dato sapere quanto nella testa di Bluth questo film avesse intenzioni ecologiste (la sua scena più magistrale e famosa, quella di topi e ratti da vivisezione che abbandonano il laboratorio in Brisbie e il segreto di NIMH, fa pensare che la sua sensibilità non fosse del tutto aliena al tema delle atrocità e dei disastri compiuti dall’uomo sulla natura), ancora meno chiaro è come da questo incipit si potesse arrivare a una specie di biopic su Elvis, tuttavia la frase “Guardate: il sole sorge lo stesso!” mi rimbomba in testa ogni volta che si parla di negazionismo climatico. Risuona perché anche io me ne sono macchiata, sebbene inconsciamente. L’ho fatto in buona fede, diciamo, ma ho cercato di non crederci. Mi sono aggrappata a una speranza: la convinzione che il cambiamento climatico “sfugga alla nostra percezione”, che non sia rappresentabile, eccetera. Ce lo siamo ripetuti per un bel po’. La questione poneva un problema, certo, per la sensibilizzazione al tema, ma quanto era rassicurante nella nostra vita quotidiana? Viversela così, come una spada di Damocle in testa che però finché cade in testa a qualcun altro e non a te ti dispiace ma alla fine fiuuu, l’hai scampata anche stavolta e finché la scampi è una cosa che “sai” ma che non vedi, che non vivi. Il sole sorge lo stesso. Negli ultimi anni ricordo delle estati che non arrivavano mai, con la prima neve a marzo, specie durante la pandemia, quando qui a Berlino negozi, ristoranti, club e bar sono stati chiusi per circa nove mesi, e incontrarsi all’aperto era una necessità quasi vitale. Mi consolava tantissimo vedere che nonostante il tempo infame comparivano comunque le gemme sugli alberi, come se obbedissero a un ciclo tutto loro, intimo, indifferente a quello che succedeva fuori. Il sole sorge lo stesso.
Così per un paio d’anni. Poi quest’autunno sono arrivate su Instagram le foto di fioriture random di fragole in novembre sui balconi degli amici, e un articolo che diceva che il cambiamento climatico ha spento il foliage autunnale. Attraversando il Grünewald in treno per andare in università a Potsdam (viaggio che in genere mi riconcilia col mondo nonostante la sua durata interminabile e il fatto che mi stia recando in ufficio proprio perché attraversa questo grande bosco appena fuori Berlino), quest’anno l’ho notato anch’io il colore spento e indeciso delle foglie, i rami morti prima del tempo, le chiome tutte avvizzite, marroni invece che gialle, arancioni o rosse. Mi ha preso un magone profondissimo, nella disperazione e nella confusione le uniche cose a cui ho saputo pensare sono state che sono solo un’anatra che non aveva capito niente, e che bisogna andare a cercare Chanticleer.
Bonus track: facendo “ricerca” sul film ho trovato questo canale YouTube in cui un tizio dimostra che “Pianos are Never Animated Correctly”.