Gua Sha

Share this post
Commesse – Gua Sha n. 19
guasha.nightreview.it

Commesse – Gua Sha n. 19

Io, saldi o non saldi, mi prendo due giorni di permesso

Elisa Cuter
,
Sofia Torre
, and
NightReview
May 19, 2022
2
Share this post
Commesse – Gua Sha n. 19
guasha.nightreview.it

Lavoro, professione, occupazione, impegno. Lavorare, fatturare, portare a casa la pagnotta. Timbrare il cartellino – quando ne hai uno –, definire la propria identità attraverso il lavoro, giustificare la propria esistenza attraverso il lavoro. Quello che fai è quello che sei. Quello che ti dà da campare ti determina, ti definisce, ti si incolla dentro e diventa un’etichetta di cui non riesci a liberarti. Gelataia, cameriera, professoressa. Lattoniere, portiere notturno, muratore, scaffalista. Commesse, come quelle di cui parla Elisa Cuter in questo numero di Gua Sha. Il titolo può trarre in inganno: potrebbe essere un modo semplicione di strizzare l’occhio a un altolocato spettatore, “Ah, guarda queste oche giulive che vendono cose fra una storia d’amore finita male e una scollatura inappropriata”, ma il messaggio è tutt’altro, una denuncia pop di un dramma collettivo, stare a galla nel capitalismo senza perdersi di vista. Siamo più del nostro lavoro, rivendicavano le operaie della Mirafiori nel Sessantotto, prima del Job’s Act e dell’onda lunga della distruzione dei diritti dei lavoratori, preannunciando la necessità di un tentativo di liberarsi, sprigionando pensiero creativo, di “vedere chi eri”, come nella poesia di Cees Nooteboom. Commesse, Elisa Cuter lo fa partendo dal particolare, e funziona. Nella sua Global Labour History, Marcel den Linden mette in guardia da quello che definisce un eccessivo uso della microstoria nell’analisi delle lotte dei lavoratori, invitando invece a guardare i grandi snodi della storia mondiale. Eppure, se la lezione femminista dell’autocoscienza ha insegnato qualcosa, è che partire dal sé – specie se si tratta di un sé collettivo, come quello della classe sociale precaria e bistrattata delle commesse – serve a riappropriarsi della propria storia – lavorativa, amorosa, perfino psicoanalitica. Commesse è più di un prodotto pop per intrattenere le sorelle Cuter, è un atto di riappropriazione del sé oltre il lavoro.

– Sofia Torre

Voglio abbonarmi a Gua Sha


Commesse di tutto il mondo

di Elisa Cuter


Intro:


“Abbiamo due possibilità”, mi ha annunciato mia sorella una sera quando sono stata sua ospite qualche settimana fa. “Finire di vedere Red oppure... guardare la prima puntata di Commesse”. “Se vogliamo regredire all’infanzia, che almeno sia la nostra!”: il film d’animazione è stato immediatamente scartato e abbiamo iniziato quello che pensavamo un banale rewatch di una delle cose peggiori offerte dalla televisione in chiaro, di quelli che mi concedo spesso per spegnere il cervello. Occuparsi di audiovisivi per lavoro porta inevitabilmente a non riuscire più a godersi un film o una serie senza pensare già a come utilizzarli nella propria ricerca, o senza guardarli con occhio eccessivamente critico. O almeno, raccontarmi l’esistenza di questa deformazione professionale è la scusa ufficiale che ho usato per trascorrere il mio tempo libero tenendo in sottofondo le sei stagioni di Paso adelante, le altrettante di Dawson’s Creek, ma soprattutto tutti i 286 episodi da 50 minuti in media ciascuno di Un medico in famiglia. Cose improponibili ma inoffensive, dal sapore rassicurante dell’infanzia e soprattutto di cui è letteralmente impossibile scrivere senza aver l’impressione di sparare sulla Croce Rossa. Anche stavolta con Commesse ero convinta di andare sul sicuro. E invece, eccomi qua.

This post is for paid subscribers

Already a paid subscriber? Sign in
© 2023 Nightreview S.r.l.
Privacy ∙ Terms ∙ Collection notice
Start WritingGet the app
Substack is the home for great writing