Tre ragazzi – Gua Sha n. 17
Tutto il correntone e la vita velocissima
Ieri stavo risfogliando Pure Colour di Sheila Heti, perché ci sto scrivendo sopra un articolo; dire “stavo risfogliando” un libro mi fa orrore perché dà l’idea che i critici letterari stiano tutto il giorno ad accarezzare libri come fossero tappeti, ma era quello che stavo facendo, cercare di ricordarmi abbastanza per poter scrivere di qualcosa che ho letto sei mesi fa. In Pure Colour Mira vuole diventare una foglia, assorbire la luce e restare lì, a osservare il passaggio delle cose e delle persone, essere effimera o eterna, come fossero la stessa cosa – perché forse sono la stessa cosa. Questo ricordavo, almeno fino a ieri, quando ho letto che, prima di diventare una foglia, Mira sognava di essere una critica d’arte, avere “una vita difficile sul filo del rasoio dei sentimenti, perché questo significava essere un critico d'arte”. L’altro giorno ho sentito dire a un’attrice che i critici non servono a niente, che si comportano tutti come se stessero dicendo qualcosa che gli altri non sanno, come se gli artisti vivessero circondati da amici che li proteggono dalle critiche, mentendo, e tocca a loro dire la verità – che poi è esattamente quello che succede, ed esattamente il loro ruolo. Roxane Gay in In defence of thin skin and not taking a joke – “the most liberal headline ever”, come commenta il mio ragazzo – annuncia che bisogna piantarla di valutare positivamente la capacità di accettare le battute altrui, che lei vuole difendere la pelle sottile (non farsi una corazza?), i propri confini, l’essere umano, far rispettare i propri limiti. C’è solo l’individuo. Non so se sia preferibile diventare anche noi foglie, come Mira, che ne pensi Francesco? Intanto continui a scrivere questi romanzi d’ombra in cui le cose sembrano note e poi, scostando un velo alla volta, ci disorienti – direi che ci manipoli, se non fosse che scompari anche tu e siamo tutti spaesati, senza finale.
Non so se te lo ricordi, ma una volta anni fa abbiamo discusso e non ci siamo parlati per qualche giorno – mi avevi detto di non essere una fangirl e io avevo l’impressione che ce l’avessi con qualcuno o qualcosa ma che non ero io nello specifico – e poi ci siamo chiamati e abbiamo parlato di Sheila Heti e della scrittura sapienziale; penso che tu ne percepissi i limiti e le stonature e che per me invece fosse profonda a sufficienza, come un’illusione che potevo permettermi. Chissà se la pensiamo sempre così, chissà se a quel tempo la pensavamo così, a volte parlare tra noi è solo condurre “una vita difficile sul filo del rasoio dei sentimenti”, per questo ci rispettiamo.
– Sara Marzullo
Tre ragazzi
di Francesco Pacifico
Quest’anno compio quarantacinque anni e, come avevo sempre letto nei romanzi, sto cominciando a vedere i lineamenti di mio padre al posto dei miei ogni volta che mi guardo allo specchio. Ma quando mi guardo allo specchio, ancora in parte mi sembro me. La sensazione di conoscermi, di essere ancora me scompare del tutto quando mi vedo in fotografie appena scattate, quando un’amica posta una storia su una foto mia e di mia moglie durante una serata insieme, o nei post con fotografie di miei eventi pubblici. Nelle foto di trequarti scopro un profilo allungato – la mia testa, vista di lato, mi fa pensare a un pesce con i lineamenti di mio padre.
Il rispetto dei giovani è una consolazione, anche se devo imparare meglio ad assumere questa medicina, la cui posologia non si può lasciare all’improvvisazione, sebbene non abbia conosciuto ancora il medico capace di prescriverla nella giusta quantità.
Mi ci hanno fatto pensare tre ragazzi con cui oggi ho fatto l’aperitivo. L’invito nasceva da loro, volevano raccontarmi un loro progetto. Sono noto per essere un sostenitore dei giovani. È riconosciuto il mio impegno in favore delle femministe, la mia battaglia per la pari visibilità sulle riviste e nell’arena pubblica; e faccio la mia anche per i pochi maschi che meritano attenzione, che si pongono con un atteggiamento costruttivo e inclusivo nelle loro attività. Questi tre ragazzi stanno mettendo in piedi delle serate di cultura e filantropia, mi hanno scritto per ricevere la mia benedizione. Ho rilanciato proponendo un pranzo al mio circolo, loro hanno declinato, volevano vedermi in un ambiente più informale. Non ho insistito, ho apprezzato la loro personalità, li ho raggiunti nel loro quartiere. Il mio autista mi ha aperto lo sportello mentre cominciava a fare qualche goccia; durante il percorso dal centro in periferia è sceso un acquazzone, e come la pioggia ha cessato non c’è stato tempo perché il cielo brillasse; era già sera, e l’autista mi ha lasciato in questa via stretta di palazzi popolari abbastanza alti da non rivelare che un’alta striscia di viola incerto. I tre ragazzi erano appoggiati alle vetrine di un bar a fumare sigarette. Mi hanno accolto festosamente.