La televita – Gua Sha n. 22
Gua Sha come esercizio creativo
Quando Ivan mi ha detto cosa avrebbe scritto per questo numero di Gua Sha, ci ho messo un attimo a ricordare. Fuori dal finestrino del bus che mi porta in Borgo Vittoria splende un sole caldissimo, mai così caldo, e l’unico residuo evidente della pandemia sono le mascherine che qualcuno porta. Anche se sono ancora obbligatorie sui mezzi, nessuno si prende più la briga di farlo notare a chi non le ha, che non le indossa penso più per dimenticanza che per esprimere qualche posizione radicale sul mondo e il suo funzionamento. L’altro giorno sul bus è salita una donna che una volta avevo visto litigare furiosamente con un’altra passeggera; si deve mettere la mascherina, diceva e l’altra rispondeva che non aveva fatto in tempo e che mio figlio è un medico, ma l’episodio non era rientrato e avevano cominciato a dirsi che erano maleducate, ignoranti, ad alzare la voce. Stavolta invece non ha detto niente a nessuno. Mi chiedo se ad andarsene via sia stata la rabbia o solo se non abbiamo più il canale delle regole per poterla sfogare; se ci ignoriamo o se vorremmo solo avere un pretesto.
Due anni fa avevo ascoltato un’altra televita di Ivan Carozzi; era contenuta in un podcast dal titolo La Grande Incertezza e parlava di quei mesi durante quei mesi, dal di dentro, insomma. Probabilmente questo diario è stato scritto nello stesso momento del podcast, ma, quando avevo riprodotto le puntate in una delle tante passeggiate intorno a casa, non avevo la distanza che sento oggi nell’ascoltarle; tutto era intriso di speranza e paura e pathos – di una grande incertezza che speravamo fosse significativa. Io del resto, come tanti altri, mi ero fatta prendere dalla Grande Moralità e lo dico con un po’ di vergogna: scrivevo messaggini accorati agli amici, partecipavo a progetti, donavo soldi per obiettivi vaghissimi, soldi che penso di aver buttato via nel tentativo di sentirmi meglio.
Quando Ivan mi ha detto cosa avrebbe scritto per questo numero di Gua Sha, ho riflettuto se avesse senso o no pubblicare un pezzo che parlava di quel periodo lì, ma poi ho pensato che la questione non è mai l’appropriatezza del contenuto, quanto la scrittura. Rileggerlo oggi è un esercizio di critica letteraria per me, perché riesco a sentire la scrittura e lo sguardo di Ivan a prescindere dal tema – posso dire mi piace che inizi con questa immagine o che trovo quest’altra un po’ ricattatoria o un simbolo a cui non so dare un contenuto, ma posso farlo perché, per certi versi, la pandemia ha smesso di essere una metaforona che risucchia tutto e tutto rende degno di essere annotato. Ho sempre avuto problemi con le opere con un alto tasso emotivo, perché fanno saltare il banco e ti tengono lì incapace di andartene o di formulare un pensiero critico. Ivan posa lo sguardo sulle cose, rallenta il tempo, sembra saper abitare i suoi pensieri, possederli pienamente, cosa che rende organica la sua scrittura e che mi rende difficile sapere in anticipo cosa penserà di una certa cosa, come giudicherà quello che ognuno di noi sta scrivendo. Lo diceva anche Francesco qualche numero fa, Gua Sha come esercizio creativo.
– Sara Marzullo
La televita. Marzo 2020
di Ivan Carozzi
18 Marzo
Se la mano è stretta a pugno, l’epidermide si mostra liscia e tesa come una vela… ma è solo un inganno. Se la mano è stesa il dorso appare attraversato da grinze e increspature. Le nocche sono ruvide, secche e arrossate. È il risultato dei lavaggi col sapone liquido, da quando mi sveglio alle sette del mattino fino a prima di andare a letto. Insapono, spingendo le mani l’una dentro l’altra per aspergere la gocciolina di detergente. Le dita si accavallano in un balletto morboso, come se mano destra e sinistra fossero due creature che si bramano. Vado avanti contando fino a venti sotto un getto d’acqua calda. Arrivato a venti mi chino verso l’asciugamano.
Oggi la pelle delle mani è simile a quella delle mani di mia nonna, quando le asciugava nel grembiule dopo aver lavato pentole e piatti nell’acquaio di marmo della casa dove sono nato. In quella casa ho giocato, ho imparato a leggere e scrivere, e ricordo, un giorno mentre facevo i compiti, di aver visto un minuscolo ratto correre lungo il tubo di gomma della lavatrice.
Una volta asciugate le mani, la nonna si chinava e mi prendeva in braccio. Via Cairoli 16. Origine del mondo.