Eccoci alla prima apparizione di Gua Sha. Prima di cominciare, vogliamo ringraziare le centinaia di persone che si sono iscritte da quando abbiamo annunciato, meno di una settimana fa, questo spazio in cui lasciare che le cose accadano, come ci piace definirlo. Questo numero è gratuito, così come i prossimi tre. Dal 10 febbraio, potrai drenarti esclusivamente in cambio di un piccolo ma fondamentale contributo
Previsioni per il 2022
di Sara Marzullo
Orsa maggiore: i cattivi; essere forti fisicamente; i treni notturni; la dominazione; muoversi come i personaggi di film apocalittici, come quando Miuccia Prada manda in passerella modelle con gli addominali scoperti, ma non seducono, fanno solo paura; non avere gusto, avere troppo gusto; suonare in un gruppo; i collettivi; i progetti effimeri; i progetti che non vanno da nessuna parte; gli album doppi; gli album perduti e ritrovati; i portasigarette d’argento; gli orologi; le cinture di pelle; le vesti da camera, qualunque cosa vogliano dire; stare a letto; i servizi di piatti; i tappeti; vivere come nobili eccentrici, non come i miliardari che si svegliano alle 4 e mezza e hanno case indistinguibili gli uni dagli altri; Alexandra Tolstoy, la nipote di Lev che vende antiquariato zarista; il sancerre; le isole; litigare; la rabbia; il complesso di Elettra, ma non quello di Edipo, sorry; Kate Moss a Glastonbury nel 2005; il sesso riappacificatore; il sesso non riappacificatore; la prima repubblica; la seconda repubblica; il Presidente della Repubblica; Vincenzo Agnetti; Lindsay Lohan; i film dimenticati ma non particolarmente belli; la matematica non euclidea; Michel Houellebecq.
Orsa minore: la sottomissione; lavorare; il corporate speak specialmente se viene chiamato corporate speak; il sushi; commentare online; le riflessioni accorate; i tweet modesti; i tweet virali; le fotografie iconiche; gli articoli troppo lunghi; la pianificazione strategica; le serie televisive; Elon Musk; la parola antropocene; la parola tossico; la parola capolavoro; dire “se tutti facessero così”; le slide istruttive; le sfide con se stessi; gli influencer; le scuse degli influencer pubblicate su instagram ma scritte sulle note del cellulare, come se a pubblicarle non fossero stati loro, ma si trattasse di un messaggio privato arrivato lì per caso, un pizzino pieno di consapevolezze e rimorsi; Timothée Chalamet; non avere ambizioni o avere troppe ambizioni; i capelli puliti; il beige; stare sul pezzo; i propositi di buone letture; Jonathan Franzen, ma non per sé o per quello che scrive, come concetto vago; raccontare le trovate intelligenti dei figli; inventarsi trovate intelligenti dei figli; i fan di Michel Houellebecq.
Vuoi giocare al gioco del Maggiolone?
di Ivan Carozzi
Per tutto il 2021 ho collezionato immagini di Maggiolone Volkswagen e le ho raccolte in una cartella. Mi sono dato una sola regola: non dovevo essere io a cercare e trovare le immagini, ma dovevano essere i Maggioloni Volkswagen a manifestarsi e trovarmi. Questa era la sfida.
Perciò ho cercato di essere sempre pronto a scattare una foto tutte le volte che incrociavo un Maggiolone, sia che fosse parcheggiato, sia, soprattutto, quando il Maggiolone era in movimento, o, per esempio, era inquadrato nella scena di un film al cinema; inoltre ho salvato le foto che mi capitava di vedere per caso su internet dove fosse presente un Maggiolone e ho fatto uno screenshot ogni volta che mi è successo di notare un Maggiolone in un film, in un documentario o in una serie visti su internet.
(Date queste regole, il gioco può essere fatto con altri oggetti. Per esempio il telefono fisso. Recentemente ne ho visto uno, bianco, in un video di George Michael).
Dirò perché amo il Maggiolone. Perché è la macchina su cui viaggiavo da bambino.
Perché il Maggiolone è rotondo, è come un giocattolo e mi ha sempre fatto simpatia. Il Maggiolone, volendo tirare in mezzo la psicanalisi, è un surrogato del seno.
Quindi il Maggiolone rappresenta il seno perduto e la mia infanzia smarrita. Mi nutro di simboli del seno, che poi corredo di una didascalia e conservo in una cartellina (azione che a sua volta, chissà, magari è un surrogato dell’azione di succhiare). Quel lucente e metallico sostituto del seno, tuttavia, è realizzato in serie e ha una storia pubblica. La storia del seno-Maggiolone inizia in Germania nel 1938, quando il Maggiolone viene progettato e messo in produzione per volontà di Adolf Hitler (tutti devono avere un’automobile; non deve costare più di mille marchi; non deve consumare più di sette litri ogni cento chilometri). Viene fabbricato in un grande stabilimento industriale supervisionato da Albert Speer, inaugurato il 26 maggio 1938 in Bassa Sassonia, un anno e tre mesi circa prima dell’invasione della Polonia, di fronte a settantamila persone in festa. Nella fabbrica lavoreranno dodicimila operai, divisi su due turni. Tutti saranno impiegati nell’assemblaggio di un oggetto dalle apparenze tenere e fantastiche, per niente aggressive, che piacerà tanto agli esseri umani e che infatti diventerà una delle auto più vendute di sempre.
P.S.: a questo link potete sfogliare o scaricare le immagini di tutti i Maggioloni intercettati tra gennaio e dicembre 2021.
Questioni più complesse di così
di Veronica Raimo
Possiamo usare tranquillamente e senza limiti le mangiatoie nei nostri giardini? Be’, non proprio. La questione è più complessa di così.
Quando parliamo di violenza all’interno di una relazione, il primo pensiero va ad abusi fisici o sessuali, ma la questione è più complessa di così.
Sarebbe facile chiedersi allora: la moda africana è di moda? Non questa volta; la questione è più complessa di così.
Ricollocare qualche milione di esseri umani in aree del pianeta abitate da *centinaia di milioni* di persone non sarebbe davvero un grande problema, se fossimo davvero una specie *sapiens* come ci piace definirci. La questione è più complessa di così, purtroppo.
Uno dei miei interlocutori ha affermato con forza: “Ma a che serve la banda larga dove non c’è gente? Magari in una sperduta valle di montagna?”. Ma la questione è più complessa di così.
Le rare volte che ci si ricorda dell’emergenza “culle vuote” si tirano in causa le donne, colpevoli di sfidare l’orologio biologico per pensare prima a se stesse. Ma la questione è più complessa di così.
Lo sbilanciamento ormonale è causato principalmente da un cambiamento nella produzione di estrogeni e progesterone, e questo sembra avere degli effetti diretti sulla percezione del desiderio sessuale. Ma la questione è più complessa di così.
Tutti si lamentano che i bambini di oggi siano poco fantasiosi, in realtà la questione è più complessa di così.
Nell’immaginario collettivo per andare a cavallo è sufficiente… stare a cavallo. A fare il resto è l’animale, no? Ovviamente la questione è più complessa di così.
Sul palco si è dato già tutto per scontato, condanna per direttissima al tanto temuto politically correct ma la questione è più complessa di così.
Le intenzioni dell’ateneo sarebbero di “cancellare Mozart”. In realtà, la questione è più complessa di così.
“Noi vogliamo fare i soldi facili!”, rispondono, perfidi e capitalisti, i Paperon de’ Paperoni di Hollywood, “e poi la qualità ci ha rotto il cazzo!”. Ovviamente, come quasi sempre, la questione è più complessa di così.
La maggior parte di noi, infatti, tende a pensare che i ricconi ostentino i loro soldi con macchine e vestiti di lusso. In realtà, però, la questione è più complessa di così.
Lo zucchero fa venire la carie: è questa la frase con cui si liquida spesso il rapporto tra cibo e salute dei denti. Ma la questione è più complessa di così.
Non c’è da preoccuparsi, le macchine non ci sostituiranno, non ci saranno nuovi disoccupati e non calerà la necessità di operatori umani nelle fabbriche. “Ovviamente la questione è più complessa di così”.
I dati di vendita ci parlano di auto ibride sempre più protagoniste. Hai pensato quindi che acquistare un’ibrida sia la soluzione migliore. Se non fosse che la questione è più complessa di così.
Elon Musk è stato spesso accusato di essere una sorta di despota, di temere il confronto con i giornalisti e quant’altro ma la questione è più complessa di così.
I maschi bianchi eterocis mica sono la metà del mondo. (Poi lo so che la questione è più complessa di così e non si tratta di andare col bilancino, ma di scardinare il sistema di potere).
La risposta di Hawking è la “creazione spontanea” dal nulla, attraverso fluttuazioni quantistiche nel vuoto, che rendono non più necessario “appellarsi a Dio per accendere la miccia e mettere in moto l’universo”. Ma la questione è più complessa di così.
L’anno del pensiero sconcio
di Sofia Torre
La vita cambia in fretta.
La vita cambia in un istante.
Una sera ti metti a letto e il sesso che conoscevi è finito.
Il problema della masturbazione.
Ecco le prime parole che scrissi dopo essere venuta, ripensandoci qualche ora dopo. La data sul file di Microsoft Word sul computer («Note sui godimenti.doc») è 10 ottobre 2020, ore 23.11, ma quello deve essere stato il momento in cui, dopo averlo aperto, ho schiacciato voracemente le dita contro l’inguine invece di salvarlo. Non avevo fatto cambiamenti in quel file, in ottobre. Non avevo fatto cambiamenti da quando avevo scoperto quelle parole, nell’ottobre 2020, un giorno, due o tre dopo il fatto.
Per molto tempo non venni più.
La vita cambia in un istante
Un normale istante.
A un certo punto, per smettere di vergognarmi di quanto fosse sconveniente quello che era accaduto, pensai di aggiungere quelle parole, «un normale istante». Capii subito che non ci sarebbe stato bisogno di aggiungere la parola normale, perché sarebbe stato impossibile dimenticarlo: quella parola ha tagliato come un’accetta qualsiasi tentativo di etichettare ciò che era successo. Era infatti la noiosa normalità di tutto quello che mi aveva eccitato prima a impedirmi di credere veramente che fosse normale anche questo, ad affogarmici invece che a farmelo assorbire, di superarlo con coscienza, impegno e serietà. Oggi riconosco che non c’è nulla di straordinario in questo: davanti a una rivelazione improvvisa tutti noi dovremmo finire per notare quanto sia decisivo il contesto in cui è successo l’impensabile, la strada deserta, un giro in macchina che è finito dietro dei cassonetti deserti, la mano premuta contro il collo quando il serpente a sonagli è entrato nell’edera. E quanto mi era piaciuta la sensazione di impotenza, l’essere usata come se non avessi una faccia, la rapidità violenta e un po’ goffa dell’atto.
Mi stava accompagnando dal lavoro – tranquilla, annoiata, sana – e poi… addio ho letto in una testimonianza di un’amica di Facebook molestata di ritorno a casa. Nel 2017 mi capitò di conversare con molte ragazze che avevano subìto molestie, violenze, catcalling. Tutte, senza eccezioni, iniziavano la loro testimonianza dicendo che era stata una “normale giornata”.
A grandi linee.
Adesso, mentre comincio a scrivere queste cose è il pomeriggio del 2 gennaio 2022. Poco più di un anno e mezzo fa, verso le nove di sera del 7 ottobre, un caro amico mi portò fuori per festeggiare il mio nuovo lavoro e decise che quella sera avremmo fatto sesso. Accostò la macchina davanti a un paio di cassonetti e mi prese per il collo, cercando di spingermi il viso fra le sue gambe. Io non ne avevo voglia – avrei preferito bere una birra o andare al cinema – ma lui continuava a spintonarmi e a strapparmi la giacca – nuova di pacca –, e alla fine mi saltò addosso per bene e strofinandosi fra le mie cosce e tirandomi per un seno venne sulla mia giacca, nuova di pacca.
Il mio amico indossava uno dei suoi cappelli con la visiera da tifoso di baseball di Baggio milanese. Bruttissimo. Non mi era mai piaciuto, ma la dinamica – così squilibrata, offensiva, sbagliata e irresistibile –, la sensazione di non avere potere, il sentirmi totalmente nelle sue mani, me lo fece vedere in una luce nuova. Non riuscivo più a pensare di provare piacere senza coercizione.
Raccontai quello che era successo a un gruppo di amiche e compagni con cui cercavamo di elaborare strategie di pensiero femminista. Si mostrarono scandalizzati perché non riuscivo a elaborare il “trauma”. Mi dispiace che mi abbia sporcato la giacca, dissi, sapete, era nuova, ma tutti alzarono gli occhi al cielo. Non capisci che quello che ti è successo è una violenza, una conseguenza del patriarcato? Tu credi che ti sia piaciuto, ma non è così. Il sesso senza consenso esplicito è stupro. Le fantasie di stupro sono un prodotto di questa società machista e malata. Ma io non lo ritengo nemmeno uno stupro! Eh, allora devi decostruire il tuo maschilismo introiettato.
Era successo a me, perché chiunque altro si sentiva in dovere di spiegarmi come dovevo sentirmi, cosa dovevo provare, come dovevo stare al mondo? Sembrava che il sesso fosse un’altra guerra da combattere: bisognava schierarsi e prendere parte accanto ai giusti – quelli che chiedevano il permesso prima di prenderti la mano, quelli che si eccitavano in situazioni ben selezionate, bilanciate e controllate, quelli che avevano l’urgenza di spiegarti che il problema non era la giacca macchiata –. Il fioccare di sovrainterpretazioni, trattati di senso pratico e processi alle intenzioni rendeva ancora più eccitante quello che era successo in quella macchina. Decisi di non lavare la giacca.
Humblebraugias
di Francesco Pacifico, con la partecipazione di Matteo Falomi
Appunti su Grub Street / E qui cominciarono i nostri guai / Watch Me Write My Dissertation! / Metariflessioni sullo scrivere per mangiare, e sul perché questa newsletter è a pagamento
di Elisa Cuter
Puntata n. 1: Ritaglia e conserva questo inserto!
Sto iniziando a scrivere una tesi di dottorato su come nasce il topos dell’intellettuale precario e su come questo viene raccontato nel cinema contemporaneo. Pensavo che rispetto a quello sempiterno dell’artista povero la questione fosse relativamente recente: la facevo partire, nella mia ignoranza, da figure come Bianciardi, o al massimo John Fante. Entrambi comunque mi sembravano prodromi piuttosto isolati e comunque già molto antichi rispetto a una questione che sarebbe diventata di massa solo negli anni Settanta, con la svolta postfordista e la terziarizzazione. Invece mi sono imbattuta in un libro di Christian Gregory, Class Trouble: Eine Mediengeschichte der Klassengesellschaft (Brill/Fink, 2021), che parla di Grub Street e degli hack writers. Ho trovato pochissimo materiale in italiano al riguardo, quello che segue sono mie traduzioni da informazioni in rete in inglese.
Wikipedia (eng.) dice che fino agli inizi del 19° secolo, Grub Street era una via che prendeva il nome dal rigagnolo di rifiuti che vi scorreva accanto, situata a ridosso dei vicoli angusti del quartiere povero di Moorfields. “La sua vita bohémien si svolgeva tra dormitori pubblici, locande, bordelli e caffè da due lire. Famosa per la sua concentrazione di ‘hack writer’ impoveriti, aspiranti poeti ed editori di fascia bassa, Grub Street esisteva ai margini della scena giornalistica e letteraria di Londra”. Questo perché, recita la quarta di copertina del libro di Paula McDowell The Women of Grub Street: Press, Politics, and Gender in the London Literary Marketplace 1678-1730, “Il periodo tra il 1678 e il 1730 fu decisivo non solo nella storia politica occidentale, ma anche nella storia della stampa britannica”. Il Dizionario di Samuel Johnson del 1755 dice che Grub Street era “originariamente il nome di una strada… molto abitata da scrittori di piccole storie, dizionari e poesie temporanee [sic? approfondire], da cui ogni produzione meschina è chiamata grubstreet”.
Hack Writer (traduzioni automatiche rintracciate): scribacchino, scrittore da quattro soldi, pennaiolo, scrittore dilettante, pennivendolo, scrittore da strapazzo.
È opinione condivisa che l’hack writer emerse come fenomeno socioletterario qualche tempo dopo la Restaurazione [inglese]. Nel 1660 la scrittura non era un mestiere, ma già nel 1710, l’anno del primo atto sul copyright, uno scrittore industrioso poteva finanziarsi senza bisogno di ricorrere a un mecenate. Per l’hack writer, il decennio cruciale in questi cinquant’anni sembrano essere stati gli anni Ottanta del Seicento. Dopo il 1688, si può sostenere ragionevolmente che un hack writer potesse trovare sufficiente audience per supportarsi. […] Dal momento che l’hack writer scriveva per fornire materiale che potesse essere appetibile per un pubblico di classe media o bassa, determinare cosa un autore producesse per questo pubblico ci dà una chiave per comprendere il gusto, artistico e pratico, dell’uomo della strada.
Barbara Louise Magaw, “The Work of John Shirley, an Early Hack Writer” in: The Papers of the Bibliographical Society of America Vol. 56, No. 3 (Third Quarter, 1962), pp. 332-345.
Nella prossimo fascicolo troverete una serie di testimonianze degli hack writers medesimi (tradotte malamente da me) su cosa facevano (spoiler: letteratura mediocre e di consumo), come vivevano (spoiler: male) e sul perché ci interessano (qui resta il cliffhanger).
Pensieri venuti. Si è disposti all’osservazione quando si ha voglia di mostrare ad altri quello che si vede. È il legame con gli altri che dà colori alle cose, le quali altrimenti ci appaiono smorte. C’è sempre il vuoto centrale dell’anima da arginare, per quello si seguono immagini viste o sognate, per raccontarle ad altri e respirare un po’ meglio. Ma certuni ti fanno passare subito la voglia di raccontare: loro cercano solo le “ragioni” del mondo, dunque prendono ogni immagine solo come apatica informazione sul funzionamento esterno.
da “Verso la foce” – Gianni Celati (1937-2022)
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