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Domenica scorsa mi sono resa conto che, a una settimana dalle elezioni, la campagna elettorale non mi aveva ancora raggiunta in nessun modo che non fossero i meme su twitter o i bus con la faccia una volta della Meloni, una volta di Letta. Ne ho dedotto non che vivo in qualche anfratto isolato senza connessione o che sono così brava che ho imparato a non fare refresh sulle pagine dei giornali, ma che, più giustamente, di me politicamente non se ne fanno abbastanza per targhettizzarmi, come si dice. Per compensare, ho ascoltato una serie podcast sulle strategie dietro questa campagna che purtroppo mi sono persa (!) e tutto quello che ne ho tratto è che i conduttori sono intelligenti e io sono una scema o che gli altri sono scemi perché abboccano alle campagne (quelle che non vedo), mentre loro che hanno fatto gli studi ne sono impermeabili e in quanto tali possono dire cose orrende e violente e poi spiegarcele ridacchiando. Stuart Hall diceva che alla fine degli anni ‘70 in Inghilterra c’era stato un tale spostamento a destra delle politiche che la sinistra e le sue idee erano diventate impensabili; sarebbe dovuto accadere qualcosa di improbabile ed enorme per riportare indietro la discussione. Lauren Berlant in Cruel Optimism scrive che quello che ci impedisce di vivere una vita migliore è la speranza che tutto andrà bene, che la felicità è dietro l’angolo; che da sinistra il massimo che fanno è dirci che dobbiamo fare fronte comune contro x o y e intanto “vediamo di fare il possibile, proviamo a fare qualcosina”, che è come dire queste sono le regole del gioco, se aveste fatto gli studi lo sapreste. È così poco entusiasmante, dice Berlant, che fremiamo dalla voglia di qualcosa di più forte, un obiettivo, vedere qualcuno che è pronto a morire per i suoi ideali, che però spesso poi sono ideali crudeli, di smaccata violenza. Vabbè, magari andrà tutto bene, il cous cous alla cantonese non sembra poi così male.
– Sara Marzullo
Bonjour Tristesse
di Sofia Torre
Nel 1958 esce in Gran Bretagna e negli Stati Uniti Bonjour Tristesse, diretto e prodotto da Otto Preminger. Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Françoise Sagan, segue la vicenda di Cecile, una diciassettenne che ha un rapporto morboso con il padre: non sopporta la presenza di altre donne nella sua vita. Non se queste donne sono qualcosa di più di una storia da un paio di notti: quando Anna, l’ultima amante del padre, riceve da lui una proposta di matrimonio, Cecile inizia a prodursi in una sequela di dispetti e prove di rivalità sempre più crudeli. Nel 2022, la campagna elettorale della sinistra ha molto più a che vedere con Bonjour Tristesse che con la comunicazione precisa, serrata e rassicurante che ci si aspetterebbe da fazioni (perché di fazioni e non di singoli partiti si parla) in un momento di scombussolamento e di crisi politica. Ci apprestiamo a fronteggiare le conseguenze di un drammatico spostamento a destra dell’intero asse politico: da Pierferdinando Casini candidato con il Partito Democratico e utilizzato per ironizzare e ridere sull’assurdità della politica – come se la politica fosse una pioggia sbarazzina di eventi casuali e non il risultato razionale di precise scelte di campo e di decisioni economiche e sociali che riguardano tutte e tutti noi –, all’accoglienza riservata alla candidatura di Aboubakar Soumahoro, fondatore della Lega Braccianti, nell’Europa Verde e Sinistra Italiana – da n3gr… da giardino a traditore, non sono mancate accuse che hanno fatto cadere le braccia anche a chi, come me, non pensava di votarlo, ma che rispetta il personaggio politico, il suo lavoro e il suo impegno. Abbiamo riso, scherzato, ci siamo messi le mani nei capelli e abbiamo cercato di emulare quello che facevamo nei collettivi quando eravamo al liceo e frequentavamo i primi anni di università. Aperta opposizione, verso tutto e tutti. Qualcuno ha ripassato la legge elettorale, ha realizzato che i limiti posti riguardano l’ennesimo tentativo di emulare gli Stati Uniti. Presto non ci sarà più spazio per il pluralismo e, ancora prima, non ci sarà niente da ridere.
Lo sconforto mi ha costretto a leggere le liste elettorali come si leggono i menù dei ristoranti in cui non possiamo permetterci di sedere – e ci sarebbe da chiedersi chi abbia contribuito alla depauperizzazione di intere generazioni, facendo leva sul precariato, sulle aspirazioni irrealizzabili in un clima politico che tende a privilegiare l’utilità immediata rispetto al senso, sul desiderio di rivalsa in un paese schiacciato da politiche repressive sempre più stringenti. Cosa è successo dopo Genova ai movimenti sociali è una domanda che si pone chiunque abbia fatto politica a cavallo fra i due periodi, e non vedere il frutto di sgomberi militari (pensiamo alla Val Susa), di un allargamento della forbice delle diseguaglianze che non ci permette di esporci – pena il licenziamento, per esempio – e di un’opinione pubblica che legge decoro invece di scempio, forse è la dimostrazione che qualcosa non va, ed è qualcosa di sistemico. La buona educazione degli oppressi, diceva qualcuno. Se devi fare la guerra ai tuoi pari per mille euro al mese e una schedatura ti costa la possibilità di un posto pubblico, forse il dialogo non è alla pari. Forse questa non è una società così democratica. Forse ci sarebbe da buttare giù tutto. Forse scendere a patti fra lupi e agnelli non è poi questa grandissima idea.
Ma parlavamo di un menù, al ristorante Bonjour Tristesse. Ho ridotto i partiti politici a piatti eleganti che, se dobbiamo andare in vacca, almeno lo facciamo con stile. Lascio ai miei affamati (e)lettori il piacere di indovinare quali sapori e orrori corrispondono a ognuno.
Cous Cous alla cantonese. Non esiste, direte voi. È il frutto di una doppia appropriazione culturale, fa schifo, è invotab…immangiabile. È pieno di ingredienti che non c’entrano nulla fra loro, pezzi di formaggio (!) con verdure in agrodolce. I sapori proprio non legano. Eh, eppure il menù recita che è la porzione più abbondante che la trattoria concede. Inoltre, strizza l’occhio ai vegetariani: ci sono le zucchine, i peperoni, qualche carota comprata al mercatino bio che ha raccolto in nero qualche bracciante a un euro l’ora. Lo avevamo pensato anche per i celiaci, ma poi abbiamo cambiato idea: non volevamo alienarci gli elett…clienti che amano il glutine.
Sanguinaccio di carcerato. In teoria la carne umana non si dovrebbe mangiare. Ma siamo in un momento di crisi alimentare e planetaria, le carceri sono sovraffollate, i maiali soffrono quanto gli uomini e in più dicono meno fregnacce. Perché non dare una possibilità a loro, che oltre tutto nemmeno votano?
Ravioli di erba di campo ai 5 sapori. Con l’erba non si faranno i ravioli, ma qui per non legalizzarla siamo disposti a qualsiasi cosa. I ravioli sono un piatto tradizionale, godono dunque di legittimazione popolare, l’erba è cool e richiama i giovani. Avevamo in mente cinque sapori di riferimento, ma a forza di compromessi e tentativi di restare nel menù abbiamo perso tutto tranne i piselli.
Sushi di pesce spada con la spada lunga almeno sei/sette metri. Le dimensioni non solo contano ma possono essere tranquillamente esibite. Non sarà il piatto più appetibile del menù, ma di certo il più costoso. Noi consigliamo di abbinarlo a coca e mign...on di pane e olive.
E, con estremo dolore, ecco l’ultimo piatto del menù, il dessert. Gelato alla stracciatella senza pezzi di cioccolato. Cioè, il cioccolato c’è ma è una pappetta liquida sul fondo. Niente lectina di soia – non avete letto I Signori del Cibo di Liberti? La soia viene prodotta a costo di inenarrabili sofferenze; non potendo cambiare fenomeno ed epifenomeno, fingiamo che la soia non esista – niente latte, niente zucchero, niente. In effetti, forse è meglio ripiegare su un più pratico ghiacciolo al limone.
Buon appetito e buon voto.