Gua Sha appare. Gua Sha spoglia. Gua Sha interroga gli amici su quali dischi ascolti Topo Gigio. Siamo i bambini scalmanati, “guardami come Montessori guarda i bambini” scrive un appassionato Pacifico. Questo terzo numero di Gua Sha è in tutti i sensi, essenzialmente, un tributo a Giancarlo DiTrapano, editore geniale, santo protettore dei maledetti e delle forme letterarie mai viste prima. Ricorda che dal 10 febbraio Gua Sha arriverà solo “in cambio di un piccolo ma fondamentale contributo” (= soldi). Abbonati: se lo farai, potrai mandarci locandine, pensieri, intuizioni, domande, enigmi. Potrai fare casino, insomma, come i bambini di cui sopra.
Locandine
di Veronica Mignanelli
Un’amica ci manda “foto sghembe di poster di vecchi film porno”.
Pannolenci
di Ivan Carozzi
Girando in rete mi sono imbattuto per caso nella foto di una valigetta portadischi in pannolenci appartenuta a Topo Gigio:
…qualche ora dopo ho pensato di chiedere ad amici e amiche appassionati di musica di provare a immaginare quali dischi e canzoni Topo Gigio potrebbe portare con sé dentro la valigetta. Ecco le loro risposte (con o senza una breve introduzione):
Andrea Amici (The melancholic dj set)
Marc & the Mambas - Terrapin (cover di Syd Barret)
Psychic Tv - Stolen Kisses
Suicide - Cheree
Velvet Underground - After Hours
Enrico Bettinello
Willie Tyler & Lester 7" Flexi Disc Vintage 1970's Goldberger Ventriloquist Doll
Mauricio Kagel - Exotica (Deutsche Grammofon)
Ettore Bianconi
MMM (Errorsmith & Fiedel) - Where to go
Overmono - So U Kno
Michele Bisceglia
Nella sua valigetta Topo Gigio ha sicuramente dei dischi di punk rock giapponese. Considerato quanto è conosciuto e amato in Giappone, conosce bene e ama la scena rock & roll locale e durante i suoi dj-set nei bar di Tokyo delizia sempre il pubblico con canzoni di gruppi punk rock giapponesi, pezzi tipo questi:
Teengenerate - This is Rock & Roll
Guitar Wolf - Jet Generation
P.S.: ho scoperto della popolarità di Topo Gigio in Giappone proprio grazie a due amici giapponesi, Akira ed Eisuke. Eravamo in macchina diretti verso Piacenza, guidavo la Fiat Punto di mio padre in cui c’era e credo ci sia tuttora un pupazzetto di Topo Gigio attaccato con la ventosa sul lunotto posteriore. Da buoni giapponesi riservati e apparentemente timidi, Akira ed Eisuke ci hanno impiegato un po’ a esternare la loro eccitazione per la presenza in auto di Topo Gigio, ma erano felicemente sorpresi e a un certo punto hanno cominciato a dire tra loro “Topo Jijo-Topo Jijo”. Io ero altrettanto sorpreso dal fatto che loro conoscessero Topo Gigio, dato che di solito siamo noi italiani a menarla con i cartoni animati giapponesi, e da lì è nata una lunga discussione sull’argomento: Topo Gigio, Holly & Benji, eccetera eccetera.
Filippo Cecconi
Vinicius De Moraes/Sergio Endrigo - La papera
Raymond Scott - Portofino
Fabio De Luca
Topo Gigio non so perché ma lo immagino di gusti francofoni, per cui nella sua valigetta immagino questa versione in francese del classico disco dei Bee Gees, perfetta per animare qualsiasi festa.
Topo Gigio ama Claudio Baglioni, ma dovendo darsi un tono non può confessarlo ai suoi amici topi, per cui ascolta spesso questo dimenticatissimo cantautore californiano che nel 1976 incise un pezzo di puro inconsapevole baglionismo: Jimmie Spheeris - “Emerald and the Dream Dance”
Alessandro Gori
Frank Zappa - The Adventures of Greggory Peccary
MusicaPerBambini - La famiglia dei becchini
Livia Satriano
Gigio è anche un grande appassionato di musica e ha reinvestito tutti gli introiti dei suoi album per realizzare il suo desiderio da Guinness: divenire il più grande collezionista di vinili di canzoni a tema ‘topi’. Da Speedy Gonzales di Pat Boone a Peppino ’o suricillo lui le ha raccolte proprio tutte! Lou Monte - Pepino, the Italian Mouse
Ma cosa mi dici mai! Ebbene sì, anche a Gigio è capitato qualche volta di far uso della “strana polverina” di cui cantava Gianna. Ma non ne andava molto fiero, è un aspetto della sua vita di cui non si sa molto… D’altronde come pensavate facesse a sostenere tutte quelle dirette sempre con lo stesso impareggiabile entusiasmo? Gianna - La Cocaina
Alba Solaro
Fausto Papetti con le copertine soft porno
Francesco Tenaglia
Norma Tanega - Walkin’ my cat named dog
Raffaele Alberto Ventura
Grazie a chi ha partecipato a questo gioco.
I bambini dell’asilo stanno facendo casino
di Francesco Pacifico
Sto leggendo per la prima volta un libro di Maria Montessori (“Educare alla libertà”, Oscar Mondadori) e mi dispiace che non mi sia mai capitato prima. Montessori scriveva in un italiano spirituale e muscolare. Nel movimento e nelle attenzioni dei bambini per il mondo che stanno scoprendo riusciva a vedere tutta la delicatezza che può esserci nella relazione tra persona e mondo. Nell’affrontare la lista di riflessioni e osservazioni con cui Montessori raccoglie i principi del suo metodo educativo, possiamo immedesimarci sia nello sguardo dell’adulto educatore che in quello del bambino che impara a vivere. L’educatore come reinventato da Montessori mi ispira una forma di amare fatta di una capacità di contenere e aspettare: un amore-pazienza né reattivo né lamentoso perfetto anche per gli adulti. Se invece ci immedesimiamo nei bambini che si aggirano nel libro pieni di amor proprio (spesso frustrato dai maestri del vecchio tipo), l’effetto, almeno per me, è sentire una profonda pena per la nostra fragilità e il nostro bisogno di conoscere il mondo. Guardami come Montessori guarda i bambini. Leggerla mi fa piangere, mi fa cercare un amore vero, lo sguardo di un adulto che non mi manipola e non mi giudica, che mi lascia essere.
…Qualche volta accadeva che, mentre la direttrice riponeva nelle scatole gli oggetti adoperati, una bambina le si avvicinava prendendo quegli oggetti con l’evidente desiderio d’imitarla: [il] primo moto della maestra era di rimandarla al posto con la solita imposizione: “Lascia stare, vai al posto”, ma […] la bambina esprimeva con tale atto la tendenza ad un’azione utile; ella sarebbe riuscita bene per esempio negli esercizi di ordine eccetera.
Un’altra volta i bambini si erano raggruppati chiassosamente nella sala intorno a una bacinella d’acqua dove si muovevano dei galleggianti. Avevamo a scuola un piccino di appena due anni e mezzo: egli era rimasto indietro, solo, e si vedeva evidentemente animato da intensa curiosità. Io l’osservavo da lontano con grande interesse: si avvicinò prima al gruppo, scansò con le manine dei bimbi, capì che non avrebbe avuto la forza di farsi largo e allora [si fermò] e si guardò intorno. Era interessantissima la mimica del pensiero in quel volto infantile; se avessi avuto una macchina fotografica, avrei ripreso quell’espressione. Adocchiò una seggiolina ed evidentemente pensò di portarla dietro il gruppo dei ragazzi e montarvi sopra. Si mosse con il viso illuminato di speranza verso la seggiolina:
ma in quel momento la maestra lo prese brutalmente in braccio (o forse gentilmente, secondo lei) e gli fece vedere la bacinella da sopra il gruppo dei compagni dicendo: “Vieni, caro, vieni, poverino, guarda anche tu!”.
Certo il bambino, vedendo i galleggianti, non provò la gioia che stava per sentire vincendo l’ostacolo con le sue sole forze, e la visione di quegli oggetti non gli portò alcun vantaggio mentre lo sforzo intelligente avrebbe sviluppato le sue forze interiori. La maestra impedì al bambino di educare se stesso senza, in compenso, portargli alcun bene. Egli stava per sentirsi un vittorioso, e si trovò tra due braccia soccorritrici come un impotente. Nel suo visino si spense quell’espressione di gioia, di ansietà, di speranza che tanto mi aveva interessata, e rimase l’espressione stupida del bambino che sa che altri agiranno per lui.
Giancarlo DiTrapano, santo protettore dei maledetti
di Sara Marzullo
Ho conosciuto Lauren Cerand in un pomeriggio di fine estate di qualche anno fa, quando si era appena trasferita in Italia. Ci eravamo incrociate nella redazione di Brooklyn di A public space, una sofisticata rivista indipendente di letteratura, per cui Lauren lavorava come publicist – e quindi avevamo iniziato a parlare da qui; dalle scene, dalle riviste, da New York – dalle cose che intuivamo di condividere. Non è questa la storia che vorrei raccontare, anche se sarà lo stesso una storia di come e quando si incontrano le persone e di cosa si lasciano l’un l’altra. Gian è entrato quasi subito nella nostra conversazione, per non andarsene.
Gian è come chiunque lo abbia conosciuto chiamava Giancarlo DiTrapano, fondatore di New York Tyrant, rivista letteraria d’avanguardia, e della casa editrice Tyrant Books – mentore, profeta, entusiasta, personalità indelebile. Negli anni Tyrant ha pubblicato Tao Lin, Megan Boyle, Marie Calloway, Brad Phillips, Sheila Heti, e Atticus Lish, il cui “Preparativi per la prossima vita”, era stato un successo incredibile per una casa editrice sperimentale come quella di DiTrapano, per molto tempo gestita quasi in totale autonomia da un appartamentino di Hell’s Kitchen.
Dalle intuibili origini italiane, Gian a un certo punto si era trasferito in Italia, dove si era sposato con Giuseppe Avallone, costumista di cinema e teatro e scenografo. A Sezze Romano possedeva una casa, un castelletto, dove organizzava corsi di scrittura creativa dallo straordinario titolo Mors Tua Vita Mea (non è questa la quintessenza dei corsi di scrittura?). Queste cose me le aveva raccontate Lauren: io lo conoscevo tramite l’account twitter da cui scriveva frasi apodittiche, sconcertanti, spesso trasformative. Quando lo avevo collegato al racconto di Lauren, tutto aveva avuto senso. Non capita spesso, ma ci sono persone che sembra di conoscere da sempre o – meglio – che si sarebbero volute conoscere da sempre. DiTrapano era una di quelle. Anche i libri che pubblicava, gli scrittori che scovava erano così: non sapevi che potessero esistere, che si potesse scrivere così, e ora sì (tra i nomi più recenti, penso ai pezzi di Honor Levy su internet). Forse lo stesso vale per gli stessi scrittori: sapeva incanalare le energie, vedere le forme dove forme ancora non c’erano.
“Editor d’avanguardia, anarchico, ma anche enigmatico. Collaborava con le riviste più sperimentali, ma non voleva lavorare nei loro uffici”, scriveva Chiara Barzini nel profilo del 2018 su Vanity Fair, dal titolo C’è un genio nel castello; un titolo più che azzeccato se immaginiamo i geni come spiriti che emergono all’improvviso per esaudire desideri che non sapevamo ancora di avere.
Dico così anche se non l’ho mai conosciuto di persona, perché è quello che hanno scritto tutti la scorsa primavera, quando all’improvviso è arrivata la notizia della sua morte. Tutti avevano un ricordo, un momento di epifania in cui DiTrapano aveva cambiato la loro vita, insegnato a sconfinare, in cui aveva visto qualcosa in loro prima di loro. Tao Lin ha messo insieme un lunghissimo memoriale, così generoso e straziante che è impossibile leggerlo senza sentire l’invidia per chi gli è stato vicino e l’ombra del dolore di chi lo ha perso.
Diceva: “La roba di Tyrant non è per tutti, ma niente dovrebbe essere per tutti. O almeno niente che ne valga la pena. Sai che cos’è per tutti? L’acqua. Se pubblichi qualcosa che è per tutti, beh, stai pubblicando acqua”. E forse sta qui la sua importanza: aver ricordato sempre che la letteratura sarà sempre un’altra cosa, che è imprevista, audace, forse criptica, ma anche sexy, dirompente, tutte le cose per cui continuiamo a scrivere o leggere, per cui almeno io lo faccio, l’egida sotto cui Gua Sha è nata.
Per Gian il rinascimento italiano partiva da Napoli: “wild how Paris in the 20’s is happening in Napoli this century”. “Giancarlo voleva vivere qui perché sentiva di appartenere all’atmosfera delle strade, al senso di civiltà perduta che si risveglia ogni giorno”, mi racconta Sara Verdecchia, con cui stava lavorando a una nuova casa editrice, il cui logo era proprio la macchina in fiamme del suo twitter. “Diceva che a Napoli c’era lo stesso flusso di energia impazzita di New York, ma con la mitologia e le divinità. Non aveva individuato una scena letteraria, ma era sicuro che il talento si sarebbe rivelato se qualcuno avesse cominciato a scavare”.
Qui si era legato a Pidgin Edizioni, la casa editrice di Stefano Pirone, che pubblicherà “Stasera sono un’altra” di Chelsea Hodson (Hodson aveva tenuto gli ultimi workshop di Mors Tua Vita Mea a Sezze – il suo libro è straordinario, come dicevo qui, la traduzione è di Verdecchia). “Ci siamo incontrati a Napoli prima ancora che vi si trasferisse”, mi spiega Stefano. “Pidgin Edizioni era appena nata quando gli scrissi la prima volta, senza sapere che si trovasse in Italia. Col tempo tra noi è nato un rapporto di amicizia: era una persona molto carismatica ma che allo stesso tempo mi faceva sentire a mio agio, cosa che accade di rado. Da spettatore alieno della scena alt lit statunitense, conoscere Giancarlo mi ha permesso di inserirmi, anche in maniera un po’ indiretta, in quella conversazione. Parlare con lui voleva dire finalmente avere un interlocutore con cui discorrere di un certo tipo di letteratura che volevo pubblicare e proporre come modello. Di sicuro ha contribuito a consolidare l’idea artistica e l’estetica con cui ero partito e che probabilmente col tempo avrebbero subìto qualche compromesso, se non avessi avuto una discussione così diretta con qualcuno con le idee così chiare e col suo entusiasmo per l’arte della scrittura. Mi ha motivato a osare di più, a sfidare i lettori, e forse anche a essere più strafottente verso le avversità”.
“Giancarlo è stato fondamentale per me”, mi scrive ancora Sara Verdecchia. “Ritrovarlo a Napoli e poter lavorare con lui è stato un sogno, come una combinazione di destini. Mi invitava a lavorare nel suo appartamento e si sedeva davanti a un arazzo che riproduceva un affresco di Luca Signorelli, I dannati all’inferno. La sua faccia si stagliava sull’immagine e lui appariva perfettamente a suo agio circondato da quei corpi torturati, l’inferno con la sua faccia sembrava meno infernale. Ed è così che lo vedo, quello che è stato, una specie di santo protettore dei maledetti”.
Il 30 gennaio ci sarà la cerimonia di inaugurazione della fondazione a lui dedicata, la Fondazione Giancarlo DiTrapano per la Letteratura e le Arti, nel castello di Sezze Romano. “Volevamo che Sezze continuasse a essere sempre più il luogo di incontro di una comunità per scrittori e artisti di tutte le discipline. Parlavamo solo di questo nelle ultime conversazioni e, dopo la sua scomparsa, ho voluto fortissimo realizzare il suo desiderio”, mi dice il marito. Lo scopo della fondazione è quello di “onorare la memoria di Gian e preservare il suo lavoro di una vita come editor, editore e patrono delle arti”, creare uno spazio di condivisione. Il programma del consiglio di amministrazione è di offrire residenze d’artista a partire dall’estate 2022; di produrre poi un archivio del suo lavoro, per promuoverlo e proteggere allo stesso tempo l’incredibile storia di Tyrant Books da interferenze future.
“Giancarlo era un mio amico, e anche un genio. Abbiamo lavorato insieme, quindi entrambi sono fatti importanti, ma più di ogni altra cosa, era mio amico. Quando è morto la scorsa primavera, ho capito immediatamente quale regalo straordinario avevo ricevuto, vivere nel suo tempo”. – Lauren Cerand
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