Figli minori – Gua Sha n. 33
O Brother, Where Art Thou?
Anche a me capita di fare congetture sulle persone che conosco (o anche su un leader politico, su un artista, sul titolare di una trattoria dove vado spesso, insomma su chiunque) a partire dai dati su cui ragiona il testo di Sara. Mi è capitato di chiedermi: quella certa persona ha un fratello, una sorella o è figlio unico? E se ha un fratello o una sorella, chi è il minore dei due? E quanti anni passano tra l’uno e l’altro? E poi provo a capire in che modo il dato può aver influenzato la formazione di quella persona, come può aver accentuato un tratto caratteriale o spinto la sua vita verso una direzione o l’altra. Nel caso del titolare di un ristorante, il rapporto con il fratello e la sorella potrebbe perfino aver segretamente determinato quella scelta iniziale, istintiva, che ha condizionato la disposizione dei tavoli in sala (ipotesi un po’ assurda ed estrema, ma perché no?); o potrebbe averlo convinto a (non) assumere un cameriere, perché durante il colloquio, alla prima impressione, quel cameriere gli ricordava (consciamente o meno) un tipo psicologico o fisiognomico ricollegabile al fratello o alla sorella. Oppure: lo scrittore austriaco Robert Walser fu il penultimo di otto tra fratelli e sorelle; se non erro, uno o due di loro si suicidarono e, sempre se non erro, nessuno di loro ebbe figli. Mi chiedo: come mai? Ci sarà una ragione per cui nessuno degli otto fratelli e sorelle si è riprodotto? E non è per lo meno suggestivo ipotizzare l’esistenza di un legame, di uno schema di fondo, tra l’estinzione della famiglia Walser e il particolare genere di libri e storie di Walser, cioè libri e storie che spesso non chiudono e non vanno da nessuna parte? I microgrammi di Walser, cioè i manoscritti in cui si sforzava di scrivere in modo sempre più piccolo e illeggibile, non costituiscono un’immagine perfetta per rappresentare un destino di estinzione, sparizione e riassorbimento nel nulla? E la stessa fotografia del cadavere di Robert Walser, caduto in mezzo alla neve fresca il giorno di Natale del 1956, come un corpo sdraiato nel candore di un foglio bianco, non è, di nuovo, un’immagine che in modo poetico ed efficace richiama un destino familiare segnato dalla scomparsa del suo intero nucleo? Sempre che non mi sbagli. Mi sembrava di aver letto questa particolarità degli otto fratelli Walser in un libro, anni fa, ma su internet non sono riuscito a verificare. Magari i fratelli e le sorelle Walser hanno fatto un sacco di figli e hanno decine di nipoti, che si chiamano Oscar e Anna, e vivono in deliziose villette circondate da una natura verdissima, popolata di scoiattoli e caprioli.
– Ivan Carozzi
O Brother, Where Art Thou?
di Sara Marzullo
Luca è volato dall’altra parte del mondo per concludere il suo podcast. Doveva parlare di una casa di campagna di famiglia, costruita dai suoi nonni per i figli e i nipoti dei figli, per vivere tutti insieme e che ora è praticamente disabitata. Doveva parlare di questo, invece adesso parla di suo fratello. Hanno dieci anni di differenza, così quando il maggiore se ne è andato di casa per studiare, Luca era solo un bambino: non c’è mai davvero stato un momento in cui abbiano potuto giocare insieme, conoscersi, sapere che carattere avessero o cosa avessero ereditato dal padre e dalla madre. Suo fratello, racconta, vive in un paese lontano, in cui la differenza tra la classe ricca e il resto del paese è enorme: era andato a lavorare là, quando si stava costruendo una carriera nell’ambito delle relazioni diplomatiche, ma poi aveva deciso di rimanerci. Adesso vive piuttosto lontano dalla capitale del paese, insieme alla moglie e ai figli e poco resta del grande arco narrativo che la sua carriera prima scolastica e poi lavorativa sembrava stesse disegnando. Luca voleva scoprire qualcosa della sua famiglia, sapere cosa era stato prima di lui, scavare all’indietro e alla fine invece le sue energie sono state spese per sapere chi è suo fratello: scavare in orizzontale e poi riempire la distanza, gettare ponti.
Quando ci penso, mi sembra incredibile e splendido che invece di lasciar stare e far fare alla distanza quello che fa la distanza, abbia deciso di andare a trovare il fratello. È un po’ come se all’improvviso avesse scoperto di avere un fratello, invece che aver provato a ricucire un rapporto, anche se avevano vissuto per anni nella stessa casa e con gli stessi genitori; la loro estraneità si era prodotta nel tempo e si era in qualche modo calcificata, ma, come una frattura minore curata male, avrebbero continuato a potersi muovere. Lui però aveva deciso di non farlo, di convertire la freddezza in altro, di rompere lo strato superiore per scoprire cosa si muoveva sotto. Avrebbe riconosciuto le stesse pressioni a cui era stato sottoposto lui? Cosa lo aveva portato lontano, così lontano? Il fratello aveva assorbito la maggior parte dei colpi, così che lui ne era stato tutto sommato immune?